
PETER SELLERS
& THE HOLLYWOOD PARTY

20 anni dopo l’ultimo concerto alla facoltà occupata di architettura a Milano si riformano i Peter Sellers and the Hollywood, Party gruppo milanese che nella seconda metà degli anni 80,
sull’onda della filosofia del “Do It Yourself “ tanto cara alla scena punk, ha interpretato ante litteram la filosofia indie pubblicando 2 albums e vari 7” (uno addirittura con Nikki Sudden degli Swell Maps) e pezzi su compilations, anche internazionali ( nella complilation della Glass Records erano in compagnia di Jazz Butcher, Spacemen 3 e Mayo Thompson per intenderci).
Interpreti del libro “Eighties Colours” di Roberto Calabro’ (premiato al Mei come miglior libro del 2010), si sono riformati dopo un invito della rivista Rolling Stone a suonare ad un party dedicato ad Andy Warhol all’ Hangar Bicocca di Milano nel febbraio 2011.
Stanno lavorando alla ristampa del vecchio materiale ed alla registrazione di quello nuovo.
L’attuale formazione comprende:
Stefano Ghittoni (The Dining Rooms) : voce.
Tiberio Longoni (Jumpers – 198X): chitarra
Metro Benzina (Sacra Famiglia – Bats): basso.
Geppi (Casino Royale): chitarra.
Ferdinando Masi (Casino Royale, The Bluebeaters, Manupuma): batteria.
“I Peter Sellers & The Hollywood Party furono una band, come si diceva allora, attorno alla metà degli anni ’80, “neopsichedelica”: immaginate, nel bel mezzo di un momento storico che esaltava la plastica, la sinteticità e l’artificiale/nuovo, una band che ti fa scoprire il lato “punk” (o post-punk) di Syd Barrett, o quello lisergico dei Rolling Stones (tutta gente che noi ragazzini, allora, si considerava poco meno che dei ruderi anni ’70). Calandolo dentro un’estetica tra il fanzinaro, il rock and roll e la factorywarholiana, appunto (vuoi per i rimandi ai Velvet Underground, vuoi per le derive pop art). Questo fecero i PS & THP – perfettamente sintonizzati su una serie di segnali che
stavano arrivando da Inghilterra e Usa – e tutta una scena milanese caotica, colorata e rock&roll; che attorno a loro si condensò.”
(Fabio De Luca, Rolling Stone Magazine)